di Giuseppe Armas, direttore
Il 19 giugno l'Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana di Genova ha presentato alla stampa le “Anticipazioni e tendenze del Rapporto sulla povertà” rilevata nel 2023 dai Centri di Ascolto (a novembre 2024 verrà diffuso il Rapporto definitivo).
Insieme ai dati, Caritas ha restituito anche i risultati di un questionario qualitativo, proposto on line nelle settimane precedenti per sondare la percezione della povertà in città.
Due giorni dopo, il 21 giugno, abbiamo condiviso tutto questo con i responsabili dei Centri di Ascolto, di realtà educative ecclesiali e di Terzo settore - Movimento Ragazzi, Oasis, Coop. Soc. Il Melograno, Fondazione Auxilium, La Staffetta, Centro Storico Ragazzi - affinché i dati non restino chiusi in una ricerca ma rafforzino la concretezza dell'impegno comune.
Al centro, infatti, c'è soprattutto un dato: la crescita della povertà tra i bambini, in particolare nella fascia 0-3 anni.
A Genova 1 bambino su 5 è in condizione di povertà assoluta. La maggior parte dei genitori riferisce che dopo il primo figlio le condizioni di povertà peggiorano: si chiudono le porte del mondo del lavoro, si ha difficoltà a far fronte alle spese sanitarie, pochi accessi al nido e frequenti rinunce ad occasioni di aggregazione e socialità.
Nei giorni in cui diffondiamo e riflettiamo su questi dati, registriamo un nuovo naufragio al largo della Calabria, con 66 dispersi di cui 26 bambini. Mentre constatiamo la povertà dei bambini nei paesi più sviluppati sviluppati, non dimentichiamo che nel mondo, ogni giorno, 7.000 bambini sotto i 5 anni muoiono per cause legate alla malnutrizione.
Cinque ogni minuto. Bambine e bambini che, a casa loro, in paesi colpiti da carestie e siccità, afflitti dalla povertà estrema o dilaniati da guerre e conflitti, continuano a essere privati di cibo adeguato, acqua pulita e cure mediche e perdono irrimediabilmente l'infanzia alla quale hanno diritto. Lontano dalle luci dei riflettori.
Attorno ai dati sulla povertà contenuti nelle "Anticipazioni e tendenze del Rapporto sulla povertà 2023", nei punti che seguono vorrei proporre alcune considerazioni.
Da tempo si registra un progressivo avanzamento della povertà, l’ISTAT ci dice che nel 2023 sono arrivate a vivere in condizioni di povertà assoluta 5,7 milioni di persone distribuite in 2,2 milioni di famiglie, il 9,8 per cento degli abitanti complessivi in Italia e l’8,5 per cento delle famiglie. Rispetto al 2014, anno in cui è cambiata la metodologia per il monitoraggio del fenomeno, le famiglie povere sono quasi 700mila in più, 1,6 milioni di individui.
L’aumento del costo della vita ha poi accentuato una tendenza che era già in atto da tempo, per cui il reddito da lavoro non ha più la capacità di un tempo di tenere fuori le persone dalla povertà. Negli ultimi nove anni sono aumentati i poveri anche tra chi ha un impiego: nel 2023 il 7,6 per cento degli occupati era in condizione di povertà, in aumento rispetto al 5,3 per cento del 2019 e al 4,9 del 2014. Questi i dati istat che certificano quanto già avevamo registrato nei nostri precedenti rapporti.
Abbiamo inoltre ben presente i dati sulla distribuzione della ricchezza di BankItalia (indice Gini): la forbice si allarga e indica l’avanzamento dell’ingiustizia che vede gran parte della ricchezza nelle mani di poche persone (10% della popolazione) e solo le briciole distribuite alla stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta (7,8% della ricchezza al 50% della popolazione).
In Italia nel dopoguerra il paese ha vissuto un periodo di sviluppo e di crescita che ha portato molte famiglie ad un avanzamento economico; è stato un momento di crescita progressiva e di democrazia, le organizzazioni aziendali prosperavano attraverso il contributo di tutte la classi produttive, vi era una sorta di patto di solidarietà tra imprese e lavoratori, vi era un forte senso identitario collettivo.
Oggi invece assistiamo al prevalere di logiche disgregative all’agire di un mercato che sta perseguendo il massimo profitto, al rafforzamento delle condizioni di privilegio e non al bene comune.
È all’interno di questo quadro che vediamo progressivamente erodere le condizioni di benessere della stragrande maggioranza dei cittadini e non solo di quelli già in condizioni di povertà ma anche della classe media. Assistiamo alla chiusura di moltissimi esercizi commerciali e di tante attività artigianali. Tanti piccoli negozi con le serrande abbassate obbligano molte persone a fare i conti con la mancanza dei servizi di prossimità che costituiscono una parte di quella infrastruttura sociale che mantiene vivo il territorio.
Il mercato immobiliare sempre più orientato all’attività turistica, unito al caro bollette, sta condannando molte famiglie a esborsi insopportabili, le fasce più povere della popolazione non riescono infatti più ad assicurarsi in autonomia un proprio alloggio e questo fenomeno sta generando in molte zone della città una presenza di affitti per periodi molto brevi, rendendo anonimi molti quartieri poiché queste presenze turistiche non generano legami né appartenenza.
Constatiamo inoltre che molte scelte pubbliche, al di là delle intenzioni e dei proclami, hanno favorito una forma individualistica di rapportarsi con la comunità locale, riducendone il desiderio di appartenenza e la volontà di partecipare attivamente all’assunzione di responsabilità collettiva. Prova di questa frantumazione è la sempre più scarsa partecipazione alle elezioni politiche ma anche, all’opposto, il fiorire di un gran numero di comitati spontanei di cittadini che si costituiscono a difesa delle proprie realtà contro le iniziative delle amministrazioni locali nei diversi campi: ambientale, dei lavori pubblici, della salute, della giustizia e dei diritti.
Il sistema di servizi sociali e sanitari pubblici non costituisce più quella rete di protezione a tutela di minori e famiglie; gli interventi, quando attivati, sono per lo più riparativi.
I dati del monitoraggio del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, relativa al periodo 2020-2023 pubblicato il 13 giugno scorso, attesta che questa misura di sostegno al reddito ha prodotto un calo della povertà: nel 2022, 450.000 famiglie sono uscite dalla povertà assoluta.
Eppure se leggiamo nel merito questo monitoraggio vediamo confermato quanto come Caritas avevamo già affermato e cioè che questa necessaria misura di sostegno necessitava di correzioni e adeguamenti.
Vogliamo ribadire che:
- bisogna partire dai poveri per disegnare misure di contrasto alla povertà: significa partire da chi sta peggio, ovvero dalla povertà assoluta, calibrare l’intervento evitando squilibri e iniquità (in base all’area in cui si vive, se si è cittadini o meno, se si vive in famiglie di diversa numerosità);
- le misure hanno bisogno di tempo per essere recepite, conosciute a fondo e maneggiate adeguatamente da chi è chiamato ad attuarle a livello locale e se questo passaggio non si compie si compromette l’efficacia delle misure come intervento di accompagnamento. Questo errore è stato fatto troppo spesso negli ultimi anni (dal Reddito di inclusione al Reddito di cittadinanza e da questo alle due nuove misure in vigore, Assegno di inclusione e Supporto alla formazione e al lavoro). Ma l’esperienza ci dice che l’attuazione è il banco di prova delle misure contro la povertà e per questo va curata nei minimi dettagli.
Non possiamo tacere di fronte a scelte che, invece di contrastare le povertà e la criminalità, le alimentano. Mi riferisco al sostegno pubblico al gioco d’azzardo che produce, oltre a pesanti ricadute nell’impoverimento delle persone, la diffusione di disturbi derivanti dal consumo di giochi. Permettere il gioco d’azzardo significa aprire le porte alla penetrazione mafiosa nel comparto delle slot machine: si tratta di due facce di un’unica realtà presente anche a Genova verso le quali occorre avere il coraggio di scelte radicali. Le persone fragili che desiderano affrancarsi da una condizione di vita insopportabile, a causa delle sofferenze o di altri disagi, sono tra le più esposte alle false speranze che questo sistema propone.
I nostri Centri di Ascolto sono sotto pressione per la quantità di richieste di aiuto e spesso operano in assenza di interventi pubblici. Non è giusto che le iniziative di volontariato vengano considerate non più come sussidiarie ma come una sicura rete di interventi verso cui indirizzare il cittadino in alternativa al servizio pubblico. Occorre fare in modo che i servizi di assistenza essenziali e il riconoscimento dei diritti siano sempre garantiti alle persone che si trovano a vivere nella nostra Città.
La chiesa genovese continua la sua presenza a fianco delle persone in difficoltà, la sua azione è per lo più silenziosa, costante e diffusa in tutti i territori. I sacerdoti, le presenze religiose, le tante associazioni di volontariato con centinaia di aderenti sono un variopinto mondo di concreta fraternità.
Il nostro impegno come Caritas Diocesana è quello di rafforzare l’agire unitario delle tante comunità, affinché cresca l’accoglienza e la relazione con l’uomo per riscoprire insieme la sua immagine divina.
Tre iniziative per fare comunità con chi sperimenta la povertà
Dai dati che abbiamo raccolto emergono diverse povertà: per contrastarle molte sono le iniziative realizzate negli anni, che Caritas Diocesana promuove direttamente o attraverso comunità, associazioni e movimenti che riuniscono tantissime persone di buona volontà. Ricordiamo e rilanciamo tre iniziative:
- Il progetto “Legami” che vuole favorire una presa in carico diffusa sul territorio diocesano delle persone che vivono in condizione di solitudine o di emarginazione;
- Le scuole di italiano che vogliono essere una concreta forma per favorire l’integrazione e l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone straniere che decidono di vivere sul nostro territorio;
- Il progetto “Tutti in classe” rivolto ai bambini e ai ragazzi che hanno necessità di essere aiutati nell’acquisto del materiale scolastico.