Il lavoro dei Centri di Ascolto, ordinario e in pandemia

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di Lucia Foglino
Responsabile Osservatorio delle Povertà e delle Risorse Caritas Genova

Cos’è il Centro d’Ascolto?

Don Piero Tubino, direttore della Caritas fino al 1999, scriveva: “Il Centro di Ascolto intende esprimere l’interessamento della comunità cristiana per le persone in stato di difficoltà. Superando l’atteggiamento assistenzialistico, si propone come un luogo di ascolto per offrire accoglienza, solidarietà e condivisione, risposte concrete e competenti ai diversi tipi di bisogno in una dimensione organica del servizio.”

E don Marino Poggi, attuale Direttore, scrive: “Il Centro di Ascolto è l’esperienza di fraternità vissuta su un territorio, dove emergono situazioni di rottura o difficoltà, prese a cuore dai credenti, cioè da coloro che si riconoscono ‘presi a cuore da Dio in Gesù Cristo’. Come sarebbe bello se questo fosse vissuto fino in fondo! A decidere la carità non sono i bisogni, ma l’Amore ricevuto dal Padre. Tornando alla realtà più faticosa possiamo dire: il Centro di Ascolto è un luogo dove aprirsi per imparare a risolvere i propri problemi e non dove ricevere semplicemente assistenza. Nei Vicariati, i cristiani si impegnano ad essere sentinelle, per impedire che le difficoltà prendano il sopravvento sulla gioia di vivere come figli amati.”

Non quindi l’ufficio dove si risolvono i problemi delle famiglie, né il salotto dove si consolano i malcapitati, né il bancomat per pagare le utenze, né la sala dove si distribuiscono pacchi viveri. Ascoltare significa talvolta capire ciò che non si dice: paure, pudori, disorientamento… Dietro un affitto non pagato o un lavoro perso ci possono essere problemi diversi, di cui non si ha nemmeno la consapevolezza o che si ha timore di mettere a fuoco. L’ascolto non prevede interrogatori: richiede tempo e, soprattutto, l’assenza di preconcetti e di risposte preconfezionate. Non è sempre così, naturalmente: tante persone che si presentano, poco tempo, a volte spazi ristretti, urgenze, la mente che, mentre si ascolta, corre già a quale risposta si può dare, la necessità di prendere qualche appunto, la voglia di accontentare, almeno un po’, la persona che si ha di fronte, che a volte è insistente, disperata… Tuttavia, è fondamentale ricordare sempre, in ogni occasione, che il Centro d’Ascolto è il luogo che esprime la solidarietà della comunità cristiana.

Un po’ di storia e la situazione attuale

Se le pratiche di “soccorso” hanno tradizioni secolari, nel tempo fecondo del dopo-concilio le nostre comunità cristiane si sono interrogate sul significato dell’aiuto alla persona, inteso non come elemosina ma come promozione della sua dignità. L’aiuto materiale immediato doveva preludere all’inserimento sociale, nella convinzione che la promozione della persona non è un’operazione esauribile con il soccorso sporadico ma affrontabile nel suo complesso, con la ricerca delle cause profonde, personali e sociali, con un lavoro di rete fra tutte le risorse del territorio e con un forte accompagnamento relazionale.

Se si vuole cercare a Genova un precedente storico estremamente autorevole, la santa Virginia Centurione Bracelli, nella Genova del ‘600, aveva forse avuto la prima intuizione dei Centri d’Ascolto quando, con forza, aveva teorizzato l’importanza della dignità della persona e dello studio di un percorso verso la strada dell’autonomia. In questo senso andavano le scuole di formazione da lei fondate per le persone, in particolare donne, in difficoltà.

I primi Centri d’Ascolto nella nostra Diocesi sono nati negli anni ’80. Nel 1994 ne esistevano 10 e nel 1999, anche grazie alla sollecitazione dell’allora Vescovo Dionigi Tettamanzi, erano 26 i vicariati che avevano dato vita a un Centro d’Ascolto. Attualmente i Centri d’Ascolto sono 34 di cui 26 all’interno del Comune di Genova e 8 nei Comuni di Arenzano, Campomorone, Manesseno, Serra Riccò, Gavi, Busalla, Bogliasco, Recco. Nella nostra Diocesi si è scelto, a differenza di altre, di mantenere una dimensione vicariale dell’ascolto, affidato interamente a volontari. La formazione avviene attraverso un corso iniziale di 10 ore e un appuntamento mensile permanente per l’aggiornamento. Nella formazione sono coinvolti rappresentanti dei vari servizi, pubblici e privati. I volontari impegnati sono poco meno di 500 di cui oltre la metà per l’ascolto e gli altri per servizi vari. Le ore di apertura settimanale sono in totale oltre 150, dietro ogni ora di ascolto ce ne sono almeno altre 2 di discernimento e lavoro di rete.

I dati

Le presenze presso tutti i Centri d’Ascolto della Diocesi sono andate crescendo: 4.600 persone circa nel 2003, poco più di 5.000 nel 2007. A seguito della crisi economica dal 2009 ci fu una crescita continua che toccò il picco nel 2015 con 8.600 presenze circa. Negli anni successivi si è osservato un calo: le misure di contrasto alla povertà messe in atto, probabilmente, hanno avuto effetti positivi. Nel 2019 le presenze sono state 5.400.  Ma già alla fine del 2020 si è notato un aumento: oltre 6.200 persone infatti hanno chiesto aiuto. La pandemia ha mostrato da subito le sue conseguenze economiche e sociali e si prevede che, nel 2021, le presenze cresceranno ancora: da marzo 2020 ad oggi sono circa 2.500 le persone che hanno chiesto aiuto a causa della pandemia e il loro numero cresce di settimana in settimana. Poco più della metà delle persone vengono sostenute anche con un intervento economico. Spesso le persone hanno solo la necessità di essere orientate tra le risorse esistenti: la domanda per il Reddito di Cittadinanza, la pensione d’invalidità, la richiesta di una casa popolare.

Chi chiede aiuto

La percentuale delle persone straniere ascoltate si è sempre aggirata intorno al 50%. Se nei primi anni 2000 c’era una forte prevalenza di donne, la presenza maschile è andata costantemente crescendo e oggi ha superato il 50%. Oltre il 90% di chi chiede aiuto ha alle spalle una famiglia, le persone anziane sono il 12% circa. Chiedono aiuto quindi famiglie in età lavorativa, con figli. E chiedono aiuto prevalentemente per trovare o aumentare il lavoro e per pagare affitto e utenze.

L’emergenza pandemia

Si erano già affrontate delle emergenze: in particolare le alluvioni del 2011 e del 2014, che hanno visto alcuni Centri d’Ascolto offrire apertura continuata per 6 giorni su 7 per due mesi. Ma la pandemia è stata una novità assoluta: un virus che si trasmette e che può uccidere. Il lavoro dei Centri d’Ascolto è stato duramente messo alla prova: i volontari non sono giovani, l’ascolto presuppone distanze ravvicinate. Già dai primi momenti di lockdown gli uffici della Caritas ed i parroci hanno iniziato a ricevere richieste d’aiuto pressanti da parte di persone che non potevano più svolgere i loro lavori. Dopo un primo momento di disorientamento i Centri d’Ascolto si sono organizzati: 2 hanno coraggiosamente mantenuto la normale apertura in presenza anche in lockdown adattandosi alle distanze di sicurezza, altri hanno iniziato a ricevere solo su appuntamento, tutti hanno messo a disposizione un numero d’emergenza e, spesso con l’aiuto dei parroci o di associazioni e gruppi presenti nelle parrocchie, hanno organizzato l’ascolto dei bisogni immediati e la distribuzione di buoni spesa. L’ascolto è stato, ed è, l’azione più penalizzata dalla pandemia: appuntamenti diradati, distanze, persone nuove, che richiedono colloqui più approfonditi, talvolta impossibili.

A fine maggio 2020 tutti i Centri d’Ascolto avevano riaperto con orari flessibili, appuntamenti e tutte le misure di sicurezza previste.

  • Sono state circa 2.500 le persone che hanno chiesto aiuto, o direttamente presso gli uffici di Caritas o presso i Centri d’Ascolto. Di queste oltre la metà non era mai venuta in contatto, in precedenza, con enti di solidarietà. In alcune zone, il numero delle persone mai conosciute sta crescendo di settimana in settimana. Per alcuni si tratta di ricaduta: sostenuti in passato, da tempo non chiedevano più aiuto e con la pandemia si sono ritrovati in situazione di forte disagio. Se durante la chiusura la richiesta principale è stata la fornitura alimentare, dal momento della riapertura il bisogno più urgente è stato il pagamento di affitto e utenze.
  • Durante il lockdown sono stati distribuiti buoni spesa per un valore di 70.000,00 euro.
  • Con il Progetto Tobia sono state aiutate, ad oggi, 229 famiglie, 682 persone, di cui 260 minori per un ammontare complessivo di oltre 222.000,00 euro. Per oltre l’80% di queste il sostegno è servito per il pagamento di utenze e affitto, nel 14% dei casi per il pagamento di tasse a lavoratori autonomi e nel 6% per spese mediche o scolastiche. Il 20% delle famiglie non aveva ancora ricevuto la cassa integrazione, il 16% arrotondava una pensione o il reddito di cittadinanza con piccoli lavori in nero, il 25% campava esclusivamente di lavoro nero, nel 6% dei casi la difficoltà è stata causata dal decesso di un anziano, o unico percettore di reddito della famiglia o datore di lavoro di una badante.
  • Difficile valutare il numero e il valore dei pacchi alimentari distribuiti sia in luoghi già tradizionalmente dedicati a questo sia in spazi nuovi, allestiti appositamente per l’emergenza.
  • Per un anno si è interrotto il lavoro di formazione permanente dei volontari, che ora riprenderà sulle piattaforme on line.

Cosa lascerà la pandemia?

Il grande lavoro di incontro, ascolto, discernimento, accompagnamento, testimonianza che i Centri d’Ascolto sono chiamati a fare è stato travolto dalle necessità urgenti espresse. Ma parallelamente c’è stata una generosità spontanea da parte di gruppi, associazioni, singole famiglie e questo ha generato coinvolgimenti nuovi che, se coltivati, si potranno trasformare in rinnovate sensibilità ai problemi sociali e aperture al servizio. Già in alcuni vicariati è stato espresso il desiderio di creare serate di pasti condivisi con persone e famiglie in difficoltà.

L’ottimismo fa credere che le nostre comunità, accompagnate e sostenute dalla preghiera, sapranno fare tesoro di questa esperienza per rimettere al centro i valori essenziali, la condivisione, la disponibilità al servizio, l’attenzione al prossimo.