La prima famiglia proveniente dalla Striscia di Gaza è arrivata al Seminario Arcivescovile di Genova verso metà pomeriggio di lunedì 5 febbraio, dopo diversi giorni di mare a bordo della Nave Vulcano.
Un papà, una zia, 4 fratelli: un quinto fratello è ricoverato in compagnia della mamma all’Ospedale Gaslini, dove sono stati trattenuti anche gli altri componenti del gruppo atteso in Seminario, 4 bambini e 2 adulti. Fanno parte delle 60 persone, di cui molti bambini, sbarcate all’alba a La Spezia, nell’ambito dell’operazione di evacuazione da Gaza predisposta dal Governo Italiano, che prevede la destinazione di bambini feriti ad alcuni ospedali pediatrici italiani, tra cui l’Ospedale Gaslini. La loro accoglienza a Genova per il periodo che sarà necessario è coordinata dalla Regione Liguria.
Nella lunga attesa di un arrivo che sembra non arrivare mai spuntano pupazzi sui letti, fogli da disegno e pennarelli, cioccolatini e succhi di frutta, palloncini e un calcetto, piccoli segni seminati qua e là per cercare di dare il benvenuto ai più piccoli e far sentire quest’ala della struttura come un punto di approdo sicuro.
Quando finalmente giunge a destinazione, accompagnata dal direttore della Caritas Diocesana, Giuseppe Armas, con alcuni operatori e con Lara, che traduce la lingua, la famiglia si riunisce davanti alla veduta della città che da lì scende intera tra cielo e mare. Negli occhi un primo sguardo al mondo che li ha accolti, ai piedi trolley e borsoni con quel che resta di una casa.
Ad accoglierli il vice-rettore del Seminario don Tommaso Danovaro: “La grande casa del Seminario – ricorda don Tommaso – si apre, oltre che alla vita dei seminaristi e a gruppi che vengono qui per momenti formativi, anche a tante emergenze che attraversano il nostro tempo. Abbiamo accolto le famiglie afghane, le ucraine e oggi quelle di Gaza, senza dimenticare le persone senza dimora per l’Emergenza Freddo. Il Gaslini si prenderà cura dei feriti; qui cerchiamo di fare casa con queste famiglie, insieme ai seminaristi, alla Caritas, a tanti volontari. Incontrando questi piccoli e i loro genitori comprendiamo quanto siamo vicini: forse non capiamo la lingua ma le esigenze sono le stesse: vivere in serenità, proteggere i piccoli, ritrovare la speranza.”
Le esigenze dei 4 fratelli – due belle coppie di gemelli – del loro papà e della zia sono molto semplici, intime, quotidiane: potersi sedere a tavola insieme, mangiare quanto offerto, riso e polpette di pollo cucinate da Emmaus Genova, poter riposare andando a letto presto, senza rumore di guerra. E poi poter pregare, “perché – dice papà Mahmoud – sono troppi giorni che saltiamo le preghiere” e collegarsi alla wi-fi, come chiedono i due figli adolescenti. Lara traduce le parole e, soprattutto, gli stati d’animo: preghiera e wi-fi sembrano ai lati opposti ma servono insieme ad orientarsi su ciò che è rimasto a così tanti chilometri da qui, dentro e fuori di sé.
“Sono persone molto stanche, provate. I segni di questa guerra sono evidenti non solo nei bambini che il Gaslini ha prontamente ricoverato – commenta Giuseppe Armas – ma anche in quelli che sono stati accolti direttamente qui: dai loro volti si capisce la fatica e il terrore vissuto. Questa al Seminario sarà un’accoglienza temporanea e nel frattempo saranno definite dagli organi competenti le modalità di un successivo inserimento sul territorio. La collaborazione con l’Assessorato alla Protezione Civile della Regione Liguria è segno di questo percorso che ci porterà dall’immediata risposta della Chiesa genovese alla condivisione del tessuto cittadino. La guerra infatti ci riguarda tutti, ci chiede di accogliere ogni vittima e ci interroga, come cristiani e come cittadini, sul mondo che si riarma, sull’industria bellica che si arricchisce, sul ripudio della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti.”
Scende la sera, ci si saluta come si può. Mahmoud e famiglia ripetono un “grazie” italiano e portano la mano al cuore.
Articolo pubblicato sul nr. 5/2024 de Il Cittadino – Settimanale Cattolico di Genova