Un viaggio ad Aleksinac

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Un viaggio ad Aleksinac

Partecipare ad un campo di animazione ad Aleksinac è prima di tutto un viaggio. Viaggiando si conoscono nuovi posti, altre culture, nuove persone, e anche un po' di più se stessi.

Il tragitto Genova-Aleksinac prende due giorni, consentendo di fare qualche tappa propedeutica a quella che sarà una settimana in una realtà comunque diversa da quella a cui siamo abituati a vivere.Attraversare la Slovenia e le sue montagne, fermarsi la sera a Zagabria, il cui centro storico ti cala in una dimensione fiabesca; arrivare finalmente in Serbia, con le sue distese di colline ondulate e di campi coltivati che si combinano con la luce del tramonto in un magico gioco di colori; fermarsi negli autogrill a fare benzina, sorpresi dall'odore di cipolle fritte e cetrioli che proviene dalle cucine delle zone di ristoro; accorgersi di come cambia la lingua, la moneta, il paesaggio, donano al viaggio una nota di avventura. Inoltre due giorni di viaggio consentono una maggiore conoscenza tra i membri del gruppo, contribuendo al nascere di un'intesa, forte anche dell'esperienza condivisa, che si spera sempre non finisca contemporaneamente al campo.

Arrivati ad Aleksinac ci sistemiamo nel centro dove vivremo a stretto contatto per una settimana. L'edificio è diverso dal contesto edilizio circostante, ma basta poco tempo per sentirsi parte integrante dell' ambiente.

Il campo non prevede esclusivamente attività con i bambini, ma anche visite alle autorità locali, al pope, alle persone anziane. Sentire le storie che ognuno di loro freme dalla voglia di raccontare è incomparabile a quello che si può fruire da un testo scritto piuttosto che dalla televisione.

La prima impressione che ho avuto arrivando ad Aleksinac è stata quella di tornare indietro nel tempo di mezzo secolo. La gente vive prevalentemente di agricoltura e di allevamento, in particolare dopo che la miniera è stata chiusa in seguito ad una esplosione; le strade sono strette e dissestate, vi circolano automobili che in Italia non si fabbricano più da anni, trattori che tornano dal lavoro nei campi; intorno alla città vaste distese di coltivazioni e di boschi. Negli occhi delle persone si riflette voglia di cambiare, unita a desolante rassegnazione. Nel 1999 i bombardamenti dell'esercito NATO hanno distrutto non solo la zona industriale,ma molte strade, diverse case ed edifici residenziali.

Ogni persona che incontri è una storia che vale la pena ascoltare. La storia di una vedova polacca arrivata giovanissima in Serbia con il marito; la storia di una bambina la cui situazione famigliare l'ha costretta a crescere troppo in fretta; la storia di una coppia di signori anziani che vive in una casina sperduta in aperta campagna; la storia della chiesa ortodossa e dei pope che l'hanno mantenuta; la storia di una miniera che non esiste più; tante storie di tanti bambini che vivono in case fatiscenti, per i quali la cosa più bella del mondo è colorare un disegno o costruirsi una maschera di cartone.

Tutte queste storie, inoltre, aiutano a far luce sugli avvenimenti che si sono succeduti in Serbia negli ultimi vent'anni, accendendo una scintilla di curiosità che porta, una volta a casa, a documentarsi ulteriormente sulla storia dei Balcani, come colpiti da un virus.

Storie di guerra, di povertà, ma anche storie che parlano di speranze e aspirazioni. La cosa più bella è che noi siamo lì proprio per ascoltare le loro storie, per farli sentire importanti, per fare capire agli abitanti di Aleksinac che per qualcuno i loro racconti valgono tanto. Si scopre poi che persone che abitano in luoghi lontani, portatori di culture e tradizioni diverse sono in realtà tanto uguali a noi, priviamo le stesse emozioni, le stesse gioie, le stesse paure. Conoscere gli altri non può che farci conoscere un po' di più noi stessi. Quando sono tornata a casa non mi sentivo una persona migliore di prima, né posso dire di aver ricevuto più di quanto ho dato: ero semplicemente arricchita culturalmente.

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