Convegno regionale Caritas liguri. Fare bene il bene.

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C’è differenza tra povertà e impoverimento ed è l’impoverimento il cuore del problema, pervasivo, subdolo perché spesso non avvertito come tale. Di fronte, però, alla tentazione di chiudersi e retrocedere perché insufficienti ai bisogni, c’è un nuovo giorno da trovare, quel giorno dopo il sabato che prima non c’era, quel giorno impensato in cui Gesù apparve risorto ai suoi chiusi in casa per paura, speranza contro ogni speranza.

Sono queste le due direttrici, ricche di senso e prospettive, su cui hanno lavorato gli oltre 220 partecipanti al convegno regionale di sabato 1 marzo, al Santuario Gesù Bambino di Praga, promosso dalle Caritas diocesane della regione ecclesiastica ligure - Genova, Savona, Spezia, Tortona, Ventimiglia, Albenga, Chiavari - e dedicato ai “Centri di ascolto, sentinelle della comunità nel territorio”.

“È la tappa di un percorso che vede le nostre Caritas lavorare sempre più insieme come una comunità interdiocesana - commenta Giuseppe Armas, direttore di Caritas Genova - e che spinge i Centri di ascolto ad attraversare un tempo di verifica, rilancio e rinnovamento, perché diano primato all’ascolto secondo il Vangelo, siano espressione di comunità ecclesiali impegnate e coinvolte, siano costruttori di reti nei territori.

Una carità così bella che parli di Dio

Ad introdurre i lavori, mons. Andrea Parodi, vicario episcopale per gli affari economici e la carità della diocesi di Genova. “I volontari dei centri di ascolto - ha ricordato don Andrea - non svolgono solo un servizio a tempo, per quelle ore che possono dedicare, ma sono molto di più: sono testimoni a tempo pieno della speranza di Cristo. Papa Francesco, nel suo magistero espresso nei Messaggi per le Giornate mondiali dei poveri, ci ricorda le qualità dell’ascoltare evangelico: come Gesù ai discepoli di Emmaus, è un ascolto empatico, disponibile a restare con la persona, a farsi prossimo. Non è solo un gesto: è mettere sé stessi a fianco degli altri nel tentativo di cogliere la radice del malessere di chi ci sta di fronte. L’ascolto è segno di speranza, perché restituisce all’altro la percezione della sua importanza e quella dignità che vale più di quanto possiamo dargli materialmente.”

Si tratta, in sostanza, di fare bene il bene: “Come di fronte ad un tramonto, alla visione di un panorama si alza spontanea la preghiera di lode al Padre, così oggi siamo qui per augurarci che anche la nostra carità sia così bella ed evangelica da parlare di Dio e portare la sua speranza al cuore di coloro che ascoltiamo.” 

Fare bene il bene, anche con i dati

Se la qualità evangelica dell’ascolto è ragione e finalità, fare bene il bene per un Centro di Ascolto significa anche dedicare tempo e competenze nel raccogliere i dati.

“Non è un aspetto secondario - ha sottolineato don Parodi - perché la raccolta dei dati sulle povertà significa rappresentare le urgenze dei cittadini più in difficoltà, esercitare l’advocacy, offrire un contributo a chi deve determinare le politiche sociali nel nostro paese. I dati che voi rilevate giungono agli Osservatori delle povertà e della risorse delle Caritas diocesane, che li elaborano e li trasmettono a loro volta a Caritas Italiana. Diventano quindi rapporti locali, regionali e nazionali, strumenti che poi i decisori politici avranno fra le mani. Capite allora quanto i vostri dati esprimano una partecipazione attiva per il bene comune.”  

Centri di ascolto. Quali fatiche, quali prospettive

Il percorso di rinnovamento dei Centri di ascolto non può che essere fatto, a sua volta, di ascolto. “Da settembre 2024 - ha spiegato Alessia Cacocciola, Caritas Tortona - il Coordinamento Formazione Regionale ha lavorato con circa 30 Centri di Ascolto e 80 volontari su tutta la regione ecclesiastica ligure proprio per elaborare un pensiero nuovo a partire da alcune consapevolezze.

Abbiamo lavorato su tre aspetti in particolare: le fatiche che incontrano i centri di ascolto al loro interno; quali povertà non riusciamo ancora ad incontrare e restano fuori dalle porte dei nostri centri; quali ricadute sulle comunità, quale comunità e quale territorio e come costruire un dialogo. Si tratta di un percorso di rinnovamento dei centri di ascolto iniziato da tempo anche a livello nazionale.

Colpisce sicuramente il fatto che ancora troppo spesso l’ascolto sia percepito da chi lo pratica non come un dono di per sé, come era stato pensato nel 1971 all’inizio del mandato Caritas, e quanto invece abbia preso il sopravvento l’urgenza di rispondere a bisogni immediati.

Tra i problemi, figurano anche la gestione dell’emotività nella relazione d’aiuto, l’organizzazione pratica dei centri, talvolta l’assenza di supervisione e, punto cruciale, l’essere aperti ai territori, non chiudersi ma far sì che i centri di ascolto sappiano uscire dai luoghi canonici per farsi costruttori di legami nuovi nei territori.”

Video – Centri di ascolto: essenziali costruttori di comunità

I contributi formativi

Turri: "Uscire dai luoghi chiusi, vivere un nuovo giorno"

Uscire dai luoghi chiusi è stato appunto l’invito appassionato rivolto ai partecipanti da Donatella Turri, direttrice della Fondazione per la coesione sociale di Lucca.

Riferimento per il suo intervento, il passo del Vangelo di Giovanni (20, 19 e seguenti): “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»”.

“È un’esperienza di speranza contro ogni speranza - ha commentato Turri - che ci riguarda e ci chiama in causa. Come ai suoi discepoli chiusi in casa, impauriti, delusi, scioccati per la morte in croce del loro maestro, allo stesso modo Gesù risorto si presenta anche a noi, ai nostri centri di ascolto magari ripiegati nelle stanchezze, chiusi nel nostro essere pochi e magari anche avanti in età.

Nelle nostre stanze chiuse Gesù irrompe portando aria nuova, riaccende la speranza, a cui ci invita il Giubileo. Gesù si manifesta nel giorno dopo il sabato, il giorno che non ha un nome, il giorno che non c’era, il giorno nuovo: tocca a noi la responsabilità di coglierlo, di vedere le prospettive inattese oltre le ferite, le delusioni e le paure che abbiamo nel cuore.

Qual è la ferita da cui risorgere, come centro, come comunità? Quali sono i tempi e i luoghi per fare spazio all'aria nuova? Quale è il segno di speranza che possiamo rintracciare in un presente che spesso ci appare disperato?”

Andorlini: "Il cuore del problema è l’impoverimento"

Perché il presente può apparire effettivamente disperato ma non è detto che sia la povertà a renderlo tale quanto piuttosto l’impoverimento, che è cosa diversa. In altre parole, non è detto che rispondere ai bisogni materiali nei nostri centri di ascolto sia la soluzione efficace per restituire giustizia, bene comune e futuro alle nostre società.

Lo ha ben argomentato Carlo Andorlini, docente di progettazione sociale presso l'Università di Firenze: “Oggi come non mai i centri di ascolto sono necessari, ma dove sono necessari? Tutti gli indicatori ci dicono che bisogna spostare la lancetta non tanto e non solo sulla capacità di rispondere ai bisogni ma sull’essere avanguardie, punti rarissimi sui territori che lavorino sul tema dell’impoverimento.

È in atto, infatti, un impoverimento preoccupante sul piano relazionale, comunitario e del senso della vita. Un impoverimento sociale che ci investe tutti, di cui magari ci accorgiamo ma che non riusciamo a leggere nella sua gravità. I dati ci restituiscono una società di individui soli; la solitudine è diventata per molti anziani una costrizione e per molti altri una scelta di vita sommamente desiderabile, quasi fosse normalità. Si impoveriscono e rarefanno il tempo e la qualità delle nostre relazioni con gli altri, si impoverisce il lessico che diventa poi un impoverimento nella capacità di elaborare il pensiero, di tradurre le emozioni, di disinnescare la violenza.

Capite allora quanto siano necessari oggi i centri di ascolto, perché le persone che vi si rivolgono sono dentro questa desertificazione umana e relazionale che investe tutta la comunità sociale. Praticando l’ascolto e la relazione, i nostri centri sono punti di connessione con la comunità, avamposti per la loro tenuta. Praticando inoltre l’ascolto come carità evangelica, testimoniano la presenza dello spirituale, restituiscono quel senso di orientamento che rischiamo di perdere. Per tutto questo, i centri di ascolto, sono e restano risorse essenziali per tutti noi, poveri e impoveriti.”