Con la preghiera, cinque pani e due pesci

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di Mons. Nicolò Anselmi – Vescovo Ausiliare Diocesi di Genova

Da numerosi mesi ormai ho deciso di trascorrere il venerdì mattina in chiesa, fermo, seduto su una panca, di fronte al Tabernacolo, per stare con il Signore. Avevo pensato a questo momento come una sorta di ritiro spirituale settimanale; non pochi venerdì mi sono ritrovato più a parlare che a pregare: molte persone cercano soldi, lavoro, una casa, una stanza. Qualcuno chiede di confessarsi, alcuni desiderano una preghiera, un consiglio o solo un po’ di attenzione. Questa esperienza mi aiuta a tenere vivo il cuore sul mare di sofferenza in cui spesso siamo immersi, senza accorgercene.

La complessità delle nostre situazioni personali facilmente spinge a concentrarci sui nostri problemi, reali, pressanti, con il risultato di essere meno attenti a ciò che accade intorno a noi. Probabilmente tutti siamo anche stati vittime dell’indifferenza e della disattenzione degli altri… e ne abbiamo sofferto. Credo che un primo compito educativo delle Caritas, parrocchiali, vicariali e diocesana, sia quello di mantenere vive, sotto gli occhi di tutti, le richieste di aiuto di chi sta attraversando un momento difficile della propria vita. Nessuno desidera fare la fine del sacerdote e del levita della parabola del buon samaritano i quali, troppo coinvolti dai loro progetti, dai loro appuntamenti, dalle loro agende piene di cose buone, non si sono accorti di chi agonizzava a due passi da loro. Le Caritas devono raccontarci la fatica di vivere, materiale e spirituale, che non si vede, che non vogliamo vedere, che non abbiamo tempo per vedere.

Un secondo aspetto che sento urgente per me è quello di essere aiutato a capire che è possibile vivere con la metà delle cose che possiedo: vestiti, cibo, strumenti tecnici, soldi… Gli Atti degli Apostoli raccontano che nella primitiva comunità cristiana nessuno era bisognoso perché i credenti mettevano in comune i loro beni. Vorrei che le Caritas ci stimolassero a vivere in modo più sobrio, aiutandosi, tra persone, famiglie, fra parrocchie più fortunate ed altre meno.

In terzo luogo, in un mondo globalizzato e costantemente interconnesso, è tuttavia possibile dimenticarsi di pesanti tragedie contemporanee: la fame dei venezuelani, l’epidemia di Ebola, la guerra in Siria ed Ucraina, il prosciugamento del lago Ciad e tante altre catastrofi che stanno accadendo in concomitanza con il Festival di Sanremo e i Gran Premi di Formula Uno. Anche di queste situazioni le Caritas ci devono parlare, senza farci sentire troppo colpevoli ma scaldandoci il cuore come Gesù fece con i discepoli di Emmaus, facendoci venire la voglia di fare la nostra parte con la preghiera e con aiuti concreti, con i nostri cinque pani e i due pesci.

Lasciare che la sofferenza degli altri entri dentro di noi può farci paura. La croce di Gesù ha qualcosa a che fare con la sua contemplazione dei dolori del mondo, le sofferenze umane sono la garanzia dell’amore di Dio per noi: Dio non può non amare l’umanità che piange. Le Caritas ci devono ricordare questa verità donandoci in questo modo la più grande e dolce delle gioie e delle consolazioni.

(foto: Karl Fredrickson – Unsplash)