Sono considerati rischi antropici quelli collegati allo sviluppo tecnologico della nostra civiltà: il rischio chimico, il rischio nucleare, i collassi di estesi servizi distribuiti, le gravi crisi sociali. Inoltre, l’esperienza di questi ultimi decenni, ha indicato che le emergenze di massa sono collegate spesso a spostamenti rapidi di popolazioni a causa di guerre e sollevamenti rivoluzionari o lotte intestine, come pure alla diffusione di malattie, di parassiti, e di animali distruttori di vegetazione.
Il rischio chimico
Lo sviluppo tecnologico teso al miglioramento della qualità della vita comporta dei rischi più o meno gravi che possono incidere negativamente sull’ecosistema alternandone l’equilibrio. In particolare i processi industriali che richiedono l’uso di sostanze pericolose, in condizioni anomale dell’impianto o del funzionamento, possono dare origine a eventi incidentali – emissione di sostanze tossiche o rilascio di energia (esplosione o incendio) – di entità tale da provocare ingenti danni immediati o differiti per la salute umana e per l’ambiente, all’interno e all’esterno dello stabilimento.
Ricordiamo il caso dell’impianto a Bhopal in India che ha causato 2500 morti mentre per quanto riguarda l’Italia richiamiamo alla memoria la fuga della diossina dagli stabilimenti di Seveso (1976).
Dall’esame della distribuzione, sul territorio nazionale, degli stabilimenti industriali a rischio chimico obbligati ad effettuare la notifica (ex art. 6/7 e art. 8 del D.lgs. 334/99), si rileva che oltre il 23% sono concentrati in Lombardia, in particolare nelle province di Milano, Bergamo, Brescia e Varese. Regioni con elevata presenza di industrie a rischio sono anche il Piemonte, l’Emilia Romagna (con circa il 10% ciascuno), ed il Veneto (circa 8%). In esse si evidenziano alcune aree di particolare concentrazione quali Trecate (nel Novarese), Porto Marghera, Ferrara e Ravenna, in corrispondenza dei tradizionali poli di raffinazione e/o petrolchimici e altre nelle Province di Torino, Alessandria e Bologna.
Al centro-sud le Regioni con maggior presenza di attività soggetta a notifica risultano essere il Lazio (circa 7%), la Sicilia (circa 6%), la Campania (circa 6%), la Puglia (circa 4%) e la Sardegna (circa 4%), in relazione alla presenza degli insediamenti petroliferi e petrolchimici nelle aree di Gela, Priolo, Brindisi, Porto Torres e Sarroch ed alla concentrazione di attività industriali nelle province di Roma, Napoli e Bari.
Il rischio nucleare
Per emergenza radioattiva si intende ogni situazione determinata da eventi incidentali che diano, o possano dare luogo, ad una immissione di radioattività nell’ambiente tale da comportare per il gruppo di riferimento della popolazione dosi superiori ai valori stabiliti a norma di Legge (comma 6 articolo 96 Legge 230/95).
Dopo l’incidente occorso nel 1986 alla centrale nucleare di Chernobyl e la moratoria sull’impiego del nucleare ad uso pacifico in seguito agli esiti del referendum popolare del 1987, l’Italia ha interrotto l’attività delle proprie centrali nucleari di potenza, costruite a partire dagli anni ’60. Attualmente esse sono in fase di chiusura definitiva e smantellamento.
Nonostante ciò, la popolazione italiana continua ad essere soggetta ad un rischio di incidente radiologico o nucleare, a causa della presenza di centri di ricerca che adoperano reattori nucleari (sebbene di potenza assai piccola), di impianti di lavorazione e depositi di materiale radioattivo e nucleare, e della possibilità che in alcuni porti possa attraccare naviglio straniero a propulsione nucleare. Per tutti questi impianti, le prefetture competenti hanno elaborato appositi piani locali di emergenza.
In realtà lo scenario più gravoso riguarda la possibilità che si verifichi un incidente in un impianto nucleare posto in territorio estero, specialmente se l’impianto è ubicato a meno di 200 km dal confine nazionale.
Entro tale distanza sono attive tredici centrali nucleari di potenza, site in Francia (sei), Svizzera (quattro), Germania (due) e Slovenia (una).
Gravi crisi belliche e sociali
Tra i rifugiati migranti presenti in Italia il 25% ha subito torture e l’80% è stato esposto a traumi migratori, quali assistere ad un omicidio, ricevere minacce per la vita, essere separati dai familiari (fonte: Caritas Roma, Seminario “Ferite invisibili. Uno sguardo alle persone con disagi e traumi nascosti”, maggio 2008). Chi porta dentro di sé queste “ferite invisibili” – disagi psichici e traumi nascosti – manifesta depressione, ansia, somatizzazioni e disturbi post-traumatici.
Secondo le Stime del network Caritas dai 40 ai 45 milioni di persone l’anno sono costrette a fuggire, in tutto il mondo, per sottrarsi a violenze, persecuzioni, guerre, fame. Nel 2011 ne risultano 42,5 milioni dei quali 15,2 milioni rifugiati all’estero e 26,4 milioni sfollati all’interno dello stesso paese. Nel 2012 sono circa 45 milioni le persone in fuga da guerre e conflitti.
In Italia il problema diventa “emergenziale” quanto intere popolazioni si riversano sulle nostre coste, sono oltre 67 mila gli immigrati e i richiedenti asilo giunti in Italia dall’inizio del 2014 a causa dei conflitti in nord Africa e in Medio Oriente, la metà dei quali di nazionalità eritrea e siriana, ma sono tanti anche quelli provenienti dalla Somalia, dal Mali e dal Gambia. Da non sottovalutare, poi, il numero dei minori stranieri non accompagnati: che, nei primi sei mesi del 2014 sono già 6.500. (I dati sono stati diffusi dall’OIM -Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).
Dal 2000 al 2013 sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare o attraversando i confini via terra del vecchio continente: il 50 per cento in più di quello che appare dalle stime esistenti. Una strage con un bilancio simile a quello di una guerra per dimensioni e numero di decessi – in media più di 1.600 l’anno e conferma come la tratta per Lampedusa sia ormai un cimitero sottomarino.
Il movimento di masse
Nei movimenti di massa dobbiamo distinguere diverse figure:
PROFUGHI: sono tutti coloro che, a causa di eventi esterni sono costretti ad abbandonare il luogo di abituale residenza per cercare rifugio altrove, dentro o fuori la propria nazione.
SFOLLATI INTERNI: sono le persone che si spostano forzatamente all’interno del proprio paese d’appartenenza, a causa di guerre, violenze, emergenze di altra natura.
RIFUGIATI: sono persone che, temendo persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di opinione pubblica, lasciano il proprio paese d’origine e non possono o non vogliono avvalersi della protezione di esso.