Pellegrinaggio Operatori Carità. Spunti dall’Omelia del Card. Bagnasco

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Ecco i passaggi principali dell’Omelia rivolta da S.E. Card. Angelo Bagnasco ai partecipanti al pellegrinaggio degli operatori di carità.

“Il tradizionale pellegrinaggio è come un momento di famiglia che i figli celebrano insieme alla Madre di Dio e Madre Nostra, momento per pensare e pregare. Innanzitutto per pensare. Pensare non ‘che cosa fare’ ma ‘perché fare’. Senza tornare spesso alle radici del nostro agire è facile passare dal servire i poveri al servirci dei poveri.

La linea di confine attraversa il nostro cuore. Per questo motivo dobbiamo tutti mantenere lucida la nostra coscienza, essere sensibili alla verità e al bene, essere esigenti con noi. Così come dobbiamo mantenere viva la coscienza collettiva che appartiene ai nostri enti.

Romano Guardini, grande sacerdote ed educatore, ricordava che la prima domanda da porsi nei confronti degli altri non è: “Cosa posso fare per loro?”, ma: “Chi sono io?”. Perché solo persone equilibrate e vere possono aiutare altre persone ad aprirsi alla vita. Solo chi ha il cuore pieno di amore può amare, solo chi vive in casa, in famiglia, nella società con la consapevolezza di aver ricevuto un dono può porre a sua volta gesti di gratuità e di dono senza che essi pesino su chi li riceve.

Oggi purtroppo le cronache trasmettono il malaffare travestito da altruismo ma non dobbiamo lasciarci scoraggiare. Non di rado, in una società come la nostra fare il bene è complicato e chiede tempi rapidi e stretti, ma non dobbiamo sfiduciarci. La sfida non è solo quella dell’organizzazione e dell’efficienza: la prima e vera sfida è sempre quella immateriale della nostra coscienza e della nostra vita spirituale. Gesù non è un ingrediente del nostro agire, un contorno: Gesù è la sostanza e la sorgente delle nostre opere, ne è il compimento e il sostegno. Ne è la sostanza perché Cristo ci porta al cuore di Dio e la sorgente inesauribile, cosicché la fiamma non si spenga con il passare del tempo e nelle stanchezze umane. Ne è il compimento perché il bene che facciamo è sempre imperfetto e da purificare. Sì, anche per il bene che facciamo dobbiamo chiedere perdono a Dio, per tutte le imperfezioni e le incrostazioni che anche le azioni buone portano con sé. Infine ne è sostegno, perché il Signore ci accompagna gesto dopo gesto nel fare il bene e nella fedeltà al bene, con quella fedeltà e forza che viene dall’Alto. Cosa sarebbe la nostra piccola fedeltà, cosa saremmo noi senza la grande fedeltà di Dio a noi?

Ecco perché coltivare la vita spirituale non è mai un di più ma è vitale per non perdere il volto dell’amore e perché i volti che incrociamo nei servizi possano incontrare in noi il Volto dei volti, il Signore Gesù. Perché lo sappiamo: ogni uomo, cristiano o meno, consapevolmente o no, ha sempre fame della vita vera, del pane e dell’acqua vera. E noi dobbiamo esserne umili portatori. Dentro al pane quotidiano ci sia sempre nei vostri gesti il desiderio e la speranza di portare il pane di Cristo. Nessuno pensi che sia strumentalizzare la carità per l’annuncio. Come non c’è annuncio senza carità, così non c’è carità vera senza annuncio!

Il Vangelo che abbiamo ascoltato apre il cuore di tutti noi alla larghezza di Dio. Ci dice di essere seminatori diligenti, generosi, che lavorano con dedizione e sacrificio ma ci dice anche di essere dei seminatori sereni, non ansiosi: attivi, solerti, dediti ma sereni. Perché la fecondità del gesto quotidiano come della parola quotidiana è affidata a Dio. A noi tocca essere veramente portatori di acqua e dispensatori di pane, seminatori generosi e instancabili ma con il cuore pieno di fiducia, di certezza che il seme, per piccolo che sia, nel cuore della terra è vivo e germoglierà nei suoi tempi. Noi siamo posti in questa fiducia. Dio si degna di farci suoi collaboratori, si degna di usarci se ci lasciamo usare, di farci tramite della sua grazia con la parola e con il gesto.

Grazie, cari amici, per quel che fate in Diocesi nel nome della Chiesa. Vi invito a crescere sempre di più nel senso dell’appartenenza alla Chiesa e non dimenticate mai che siete gli inviati della Chiesa e con essa dovete sentirvi concretamente in comunione, insieme al vescovo, ai sacerdoti, ai laici che vi operano. Siate amanti e gratamente partecipi alla Chiesa.”